Prima del XX secolo, il sesso di una persona era determinato dall’apparenza dei genitali. Con la scoperta del DNA e dei cromosomi, ci si basò su questi per determinare il sesso: era femmina chi aveva genitali considerati femminili e due cromosomi XX, mentre era uomo chi possedeva genitali considerati maschili insieme ad un cromosoma X e uno Y. Tuttavia alcuni individui hanno combinazioni di cromosomi, ormoni e genitali che non seguono le definizioni tradizionali di “uomo” e “donna”, mentre tra un individuo e l’altro i genitali possono variare nelle forme o in alcuni casi presentarsi più di un tipo di genitali o difficilmente da classificare. Anche gli attributi corporei correlati al sesso di una persona (forma del corpo, peli del viso, timbro della voce ecc.) non sempre corrispondono con quelli attribuiti al loro sesso basato sui genitali.
Il concetto d’identità riguarda, per un verso, il modo in cui l’individuo considera e costruisce se stesso come membro di determinati gruppi sociali: nazione, classe sociale, livello culturale, etnia, genere, professione, e così via; per l’altro, il modo in cui le norme di quei gruppi consentono a ciascun individuo di pensarsi, muoversi, collocarsi e relazionarsi rispetto a sé stesso, agli altri, al gruppo a cui afferisce e ai gruppi esterni intesi, percepiti e classificati come alterità. Il concetto di identità di genere, si è iniziato a sviluppare in alcune correnti della sociologia, negli Stati Uniti d’America, a partire dagli anni settanta, per descrivere il genere in cui una persona si identifica.
L’identità di genere non deriva necessariamente dalla biologia, e non riguarda l’orientamento sessuale. E’ dimostrato scientificamente come lo sviluppo della sessualità sia non tanto il susseguirsi di presunti stadi fissi e preordinati, fondati su processi di maturazione di natura più o meno endogena, quanto come la risultate di un’interazione estremamente variabile nel suo andamento e nei suoi risultati, fra una limitata base innata e ricchi e complessi fattori di apprendimento.
I fattori biologici che possono influenzare l’identità di genere includono i livelli ormonali sia in fase prenatale che successivamente, e la loro regolazione da un punto di vista genetico. Possiamo distinguere alcune esperienze determinanti che rivestono una importanza, pur non dovendo essere considerate quali stadi rigidi o predeterminati sequenzialmente o in base all’età.
Dal punto di vista dei riflessi sessuali, l’ecografia indica che il feto maschio presenta riflessi di erezione diversi mesi prima della nascita, nelle neonate di un solo giorno possono rivelarsi sia lubrificazioni vaginali che erezioni clitoridea. Su queste basi innate cominciano a svilupparsi i contatti bambino-genitore, durante le cure fisiche, il bagno, l’allattamento, la pulizia, il gioco, dalla natura di questi dipenderà la futura identità sessuale sia la capacità di instaurare rapporti intimi.
Oltre all’ambiente esterno anche il proprio corpo fornisce un ricco campo di scoperte eccitanti. La forma attiva autostimolatoria nei maschi è presente già dai 6-7 mesi, mentre nelle bambine è più tardiva, presentandosi verso i 10-11 mesi. L’autostimolazione oltre al piacere che genera è una fonte di conoscenza di sé. L’adulto può intervenire, per insegnare senza reprimere. L’autostimolazione viene appresa e rinforzata attraverso meccanismi di condizionamento operante, agenti su un sistema predisposto su basi innate. Mentre i fattori sociali che possono influenzare l’identità di genere includono le informazioni relative al genere portate da famiglia, mass media, e le altre istituzioni. Ad esempio, per quanto riguarda i giochi, secondo alcuni ricercatori, anche i giochi coi genitori e i giocattoli dati ai bambini ne contribuirebbero la determinazione dell’identità o del ruolo di genere.
Non si è definita con precisione l’età entro la quale l’identità di genere si sia definitivamente formata.
Anche il corpo dei compagni e delle compagne rappresenta un ulteriore campo di curiosità, permettendo così la scoperta delle differenze sessuali. Importanti sono le spiegazioni degli adulti che assumono grande importanza. Il gioco sessuale è utile per lo sviluppo dell’identità di genere e di ruolo e non deve essere represso neppure se assume forme che agli occhi degli adulti possono apparire erotiche (il gioco del dottore e dell’esibizione reciproca). Gioco che può avvenire fra bambini di sesso eguale o diverso. Le reazioni dei genitori ai giochi sessuali sono di due tipi. Le bambine vengono ammonite, perché non facciano certi giochi e soprattutto con i maschi. I maschi ne ricevono messaggi contraddittori da una parte una rassegnazione e/o una fierezza per loro. Questi atteggiamenti sono fonte di confusione cognitiva e possono ostacolare l’apprendimento di una visione serena della propria sessualità. Crescendo i bambini e le bambini presentano un interesse per ciò che avviene nei bagni e nell’imparare le parolacce e nel fare domande su come nascano i bambini. Questo non perché sia qualcosa d’innato quanto piuttosto perché riconoscono l’imbarazzo dei genitori, avvertono il loro disagio, possono far perdere il controllo al genitore, quando invece sono soggetti sotto il continuo controllo. Inoltre il parlare di cose proibite li fa sentire grandi. Questo può portare i piccoli e le piccole a pensare che il sesso sia sporco.
Verso gli otto-nove anni, la masturbazione e l’intera gamma degli atti sessuali, coito compreso, possono essere sperimentati da soli e in gruppo, in coppie etero e omosessuali, perfino con animali e oggetti. È presente l’attività orale e anale. Tali attività sono caratterizzate dall’elemento erotico e non si tratta più di un gioco. Il gioco omosessuale ed eterosessuale costituisce un normale processo di crescita e il primo non conduce necessariamente all’omosessualità in età adulta. In assenza di costrizione e aggressività è raro che tali episodi sessuali abbiano effetti negativi futuri.
Già dai tre anni i bambini diventano consapevoli dei comportamenti e degli interessi adeguati al proprio sesso, anche come conseguenza dell’osservazione della condotta dei genitori. La fissazione dell’identità di genere sembrerebbe anche in questo caso in parte determinata da un bagaglio cromosomico ma in parte anche dall’ambiente perché i casi di riattribuzione del sesso sembrano dimostrare come le differenze e i ruoli sessuali possano essere appresi e quindi strettamenti legati alla cultura.
Alla nascita viene attribuito un ruolo sessuale, di cui il bambino o la bambina divengono ben presto consapevoli ma la caratterizzazione non viene considerata risultato dell’identità di genere ma questa sembrerebbe essere la conseguenza della formazione della tipologia sessuale.
Nell’ ipotesi in cui una persona percepisca l’identità, il ruolo di genere e il sesso biologico come corrispondenti si definiscono “cisgender“. Ad esempio, una donna cisgender:
- ha gli attributi femminili (sesso)
- si sente donna (identità)
- viene percepita dagli altri come donna (ruolo)
Idem nel caso di un uomo cisgender, dove però ovviamente sesso, identità e ruolo di genere saranno al maschile.
Cisgender è che un neologismo che significa “qualcuno a proprio agio con il genere che gli è stato assegnato alla nascita”. Questa condizione di concordanza coinvolge il piano biologico (i caratteri sessuali), l’identità personale (come la persona si sente) e il ruolo sociale (come gli altri la considerano).
L’identità di genere è il modo in cui un individuo percepisce il proprio genere: questa consapevolezza interiore porta a dire “sono uomo”, “sono donna”, “sono… cisgender”!