Quante volta capita di provare rancore..? Un sentimento faticoso da accettare ma che può far parte del nostro quotidiano di vita. Pensiamo a quante volte sul lavoro ci troviamo non riconosciuti nei nostri meriti, a quanto spesso ci sono persone che approfittano di noi, amanti che tradiscono la nostra fiducia, ma pensiamo anche alle prese di giro tra i bambini, a quando i compagni di scuola prendono in giro chi è più goffo o più grasso. Sono queste e molte altre ancora le situazioni in cui si può provare rancore per qualcuno. Una esperienza umana, un’emozione non evoluta, ma di cui apertamente si parla poco. Tutti sappiamo che cosa proviamo quando parliamo di rancore ma risulta difficile definirlo. Spesso associato a vocaboli come rabbia o risentimento, differisce però da queste in maniera importante. Il rancore può durare più a lungo della rabbia e ha un’intensità maggiore del risentimento.
Il rancore si caratterizza quindi per essere un vissuto complesso, un misto di emozioni quali la rabbia, il disprezzo, la tristezza, l’astio, il risentimento, così come dell’altra parte l’invidia per chi ha avuto magari più di noi e il rimorso per non avere reagito. Il rancore nasce da emozioni diverse che sono la reazione immediata ad un evento, ma la sua caratteristica principale è il risentire, il rimuginare a lungo sull’evento scatenante. Mentre l’odio lo si esterna, il rancore è vissuto intimamente.
Capita spesso che all’interno delle famiglie si creino situazione di squilibrio a livello di risorse affettive, che portano a ferite che sono difficili da rimarginare.
Negli adulti la persistenza di un rancore può arrivare a sconfinare in psicopatologia. Al vissuto del rancore sono classicamente associati il disturbo paranoide di personalità e il disturbo delirante borderline, così come nell’aggressività patologica.
Il rancore nasce come modalità di elaborazione delle emozioni all’interno dei contesti di riferimento, nucleo familiare in primis, contesto culturale che comprende scuola, società e gli ambienti che si frequentano.
Il rancore nasce come una aspettativa venuta meno, un torto subito. Ma che cosa succede una volta che il fatto è accaduto?
Classicamente si attribuisce un grande valore alla possibilità di perdonare. Ma il perdono è un processo che richiede una rielaborazione della ferita subita che permette di eliminare il pensiero ripetitivo. Ma per chi non riesce a perdonare?
Il rancore ha minori possibilità di estinguersi quanto più rimane una esperienza personale, non condivisa, interiorizzata. La comunicazione spesso avvia il processo che permette di superare questo vissuto negativo. Possono intervenire svariati fattori esterni a facilitare il processo, quali per esempio una chiarificazione con la persona coinvolta, l’avvio di nuove relazioni..
La soluzione però da una parte radicale, ma anche più efficace, è avviare una ristrutturazione della realtà, nel tentativo di correggere le interpretazioni che hanno dato avvio all’instaurarsi del vissuto del rancore.
Nel tentativo di capire cosa è successo e perché quel che è accaduto ci ha ferito tanto, possiamo renderci conto anche di un possibile risvolto positivo: la consapevolezza di esser riusciti ad oltrepassare le difficoltà che la vita ci ha presentato e la possibilità di ripartire di nuovo.