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Mediazione Familiare
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Spesso mi capita che le persone con cui entro in contatto mi chiedano cosa sia la Mediazione Familiare e di cosa mi occupi come Mediatore Familiare. Con questo breve articolo proverò a rispondere.

Partiamo quindi da una possibile definizione di cosa sia la Mediazione Familiare.

L’Associazione Internazionale Mediatori Sistemici di cui sono membro, definisce la Mediazione Familiare con le seguenti parole:

E’ un processo interattivo finalizzato al raggiungimento degli accordi nelle situazioni di conflitto familiare, comunitario, istituzionale e sociale. Al suo interno è possibile distinguere:

  • la mediazione familiare di separazione e divorzio;
  • la mediazione nei conflitti familiari: percorso di aiuto in periodi critici del ciclo vitale, finalizzato al raggiungimento di accordi concreti e duraturi su alcune decisioni come, ad esempio, l’assistenza ad anziani e portatori di handicap, controversie ereditarie, situazioni di affido e adozione, conflitti riguardanti il tema della diversità.
  • la mediazione sociale e comunitaria;
  • la consapevolezza dell’inevitabilità del conflitto nella relazioni umane e la conseguente necessità di valorizzarne gli aspetti costruttivi ed evolutivi.

La Mediazione Familiare è quindi un processo di aiuto alla famiglia prima, durante e dopo la separazione o il divorzio, che ha come obiettivo quello di offrire agli ex coniugi un contesto strutturato e protetto, in autonomia dall’ambiente giudiziario, dove poter raggiungere accordi concreti e duraturi su alcune decisioni, come l’affidamento e l’educazione dei minori, i periodi di visita del genitore non affidatario, la gestione del tempo libero, la divisione dei beni.

Il modello sistemico, tenendo conto dell’intero sistema familiare, propone una lettura complessa della dinamica relazionale che ruota intorno al conflitto e adotta un approccio interdisciplinare sollecitando il dialogo e la sinergia operativa tra figure professionali di ambito diverso, psicologico, giuridico e sociale.

L’intervento viene effettuato con entrambi i partner e, quando il mediatore lo ritenga necessario, anche con i figli, riconoscendo il ruolo attivo che essi svolgono all’interno della dinamica familiare.

Gli attori che possono prendere parte alla Mediazione Familiare sono quindi:

  • I genitori
  • L’avvocato/gli avvocati
  • Il magistrato
  • Il mediatore familiare

I GENITORI

I genitori vengono inviati o decidono spontaneamente di accedere al servizio, decidendo volontariamente di intraprendere il percorso di Mediazione Familiare. Sono protagonisti attivi: responsabili del benessere dei propri figli, si impegnano reciprocamente a prendere decisioni per loro. Trattandosi di un servizio di natura extragiudiziale, è indispensabile la volontarietà dei genitori all’intervento richiesto, specialmente nel caso in cui esso venga a configurarsi nell’ambito della contesa giudiziaria. Assumono la responsabilità di elaborare in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli.

L’AVVOCATO/GLI AVVOCATI

Tutela i diritti personali e patrimoniali del cliente. Informa il cliente-genitore in merito ai suoi diritti e doveri in materia di diritto di famiglia. Può favorire la collaborazione con altre figure professionali, nel rispetto dei diritti delle parti, anzi spesso è un inviante verso la Mediazione Familiare. Può presentare l’opportunità di servizi a sostegno della genitorialità, evidenziandone i vantaggi. Può sostenere e accompagnare, supervisionare gli accordi presi in mediazione, tutelando i diritti del cliente. Molto spesso fornisce una opinione in merito all’accordo stipulato tra gli ex coniugi. Dà forma giuridica all’accordo eventualmente raggiunto dai genitori nel percorso di Mediazione Familiare.

IL MAGISTRATO

Il Magistrato, in sede di udienza residenziale, nel corso della causa o di altri procedimenti, quali: la revisione delle condizioni di separazione, nonché nelle situazioni che ritiene opportune, può suggerire alla coppia, sia in fase di separazione che di divorzio, di intraprendere un percorso di Mediazione Familiare al fine di regolare in modo condiviso gli aspetti che riguardano la crescita, l’educazione e la gestione dei figli, prevedendo in tal senso un congruo rinvio delle udienze.

IL MEDIATORE FAMILIARE

E’ un professionista laureato (giurisprudenza, psicologia, scienze dell’educazione, sociologia, psichiatria, assistenti sociali) che ha acquisito il titolo a seguito di un corso di studi e formazione teorico-pratico biennale sulla materia della mediazione familiare. Il mediatore familiare riceve l’incarico esclusivamente dai genitori. Garantisce la riservatezza rispetto al contenuto e all’esito del percorso. Garantisce un’imparzialità nei rapporti con la coppia.

Personalmente sono dell’opinione che sia giusto ricorrere a una Mediazione Familiare quando il conflitto all’interno delle relazioni, le criticità al livello affettivo, eccessi emotivi, il coinvolgimento dei figli, difficoltà di elaborazione del divorzio psichico, sono tutti aspetti che richiedono un intervento mirato e specializzato. Come diceva una pubblicità di diversi anni fa: “prevenire è meglio che curare”.

In tal senso l’avvocato essendo uno dei primi professionisti ad entrare in contatto con i potenziali fruitori della Mediazione Familiare, può offrire una nuova opportunità tramite la Mediazione Familiare, in parallelo alla tutela giuridica di cui si occupa: un supporto alla riorganizzazione consapevole dei rapporti familiari, nell’ottica della tutela dei figli.

Il miglior indicatore per comprendere se un cliente debba essere inviato ad un servizio quale quello di Mediazione Familiare, è l’avvocato stesso o le persone che entrano in contatto con la persona che si sta o che vuole divorziarsi. Le persone stesse sono i migliori termometri. Ad esempio quando sentono che stanno perdendo il loro tempo e il loro cliente non risponde alle loro domande perché troppo preso, presa ad incolpare l’ex partner quello è un’indicatore.Il percorso di mediazione familiare ha senso che venga proposto e affrontato da coppie in cui almeno uno dei due abbia definito la volontà di separarsi, altrimenti si parla di consulenza.

La Mediazione Familiare non è lo spazio idoneo per discutere una crisi coniugale, in questo senso la risposta adatta può essere un percorso nell’ambito psicologico.

La Mediazione Familiare accompagna la famiglia alla definizione di un accordo nell’ottica della separatezza del nucleo. La Mediazione Familiare può essere il percorso adeguato una volta che la coppia genitoriale ha espresso la volontà di:

  • separarsi,
  • rivedere i termini della separazione o del divorzio,
  • nel momento in cui la coppia mostra un bisogno di ridiscutere certi aspetti della separazione,
  • nel momento in cui si ritenga necessario un supporto rispetto alla gestione delle questioni organizzative, nell’ottica della genitorialità.

Alla luce di quanto detto fino a ora, si possono quindi delineare i limiti della Mediazione Familiare, comprendendo quello di cui non si occupa la Mediazione Familiare.

La mediazione è andata affermandosi come intervento in opposizione alla consulenza tecnica, percorso lungo il quale i vari protagonisti diventano parti contrapposte, nemici impegnati reciprocamente in una ricerca di prove da presentare al rappresentante del magistrato, il CTU. Si tratta di quelle coppie caratterizzate da un tipo di conflitto così distruttivo da non permettere di pervenire a un divorzio psicologico e quindi di assumersi su di sé la responsabilità di decidere come coppia genitoriale in merito agli accordi per la separazione. La CTU si differenzia dalla mediazione per il ruolo del terzo, che non svolge funzioni di facilitatore del negozio della coppia ma esprime una valutazione che consentirà una decisione da parte del giudice. Una netta differenza si concretizza nella forma dell’assunzione, da parte della coppia, delle decisioni relative alla propria separazione e nell’indipendenza dal sistema giudiziario, anche se queste caratteristiche non pongono mediazione familiare e CTU in posizione antinomica, ma semplicemente come interventi diversi rispetto a una differenziazione delle problematiche delle coppie.

La mediazione è prevalentemente centrata e proiettata sul futuro piuttosto che sull’analisi delle cause passate. Probabilmente lo spazio generalmente utilizzato, nell’ambito delle psicoterapie, alla trattazione del passato è maggiore, anche se è assolutamente impossibile fare delle generalizzazioni in un universo così complesso. Questo criterio non sembra differenziare i due interventi in modo decisivo.

Il mediatore è neutrale e non usa la sua autorità sulla famiglia, come può fare un terapeuta familiare, ponendo così l’accento sulla diversa relazione che il mediatore ha con la coppia rispetto al terapeuta. Lo psicoterapeuta non prende le decisioni al posto della famiglia, cerca di riattivare le capacità decisionali bloccate.

Inoltre la mediazione si rivolge alla “coppia normale”, per la riorganizzazione delle sue relazioni. Il terapeuta si occupa degli aspetti psicopatologici. Non sempre però il problema che muove una psicoterapia nasce da una diagnosi di psicopatologia, anzi, spesso ciò che spinge una coppia a intraprendere un percorso terapeutico è proprio il conflitto. E’ piuttosto arduo riuscire a individuare una soglia che definisca e discrimini conflitti patologici a carico della psicoterapia di coppia e familiare e conflitti fisiologici per ciò che attiene la mediazione.

La differenza è legata all’obiettivo che definisce il mediatore alla coppia. Nella mediazione familiare è limitato al raggiugimento di accordi precisi e concreti rispetto alla separazione. Questo contestualizza e delimita l’intervento del mediatore e permette di costruire un criterio interno di pertinenza rispetto a tentazioni di slittamento terapeutico o giudiziale.

La differenza tra mediazione e terapia non viene definita quindi dalla durata né dall’evitare il ricorso alla trattazione di tematiche emozionali o dal parlare del passato ma esclusivamente dall’obiettivo che dà forma alla relazione dei partecipanti e struttura il processo.

Sulle controindicazioni alla mediazione familiare esiste un accordo pressoché unanime sul fatto che questo tipo di intervento non sia consigliato in situazioni in cui ci siano gravi disfunzioni a livello cognitivo o affettivo che precludono il setting stesso della mediazione. Altre situazioni invece in cui vi è un acceso dibattito è ad esempio rispetto a situazioni in cui esistano una violenza fisica e un pericolo di incolumità per il coniuge o per i figli o in cui esista una possibilità di differenza notevole di potere tra i coniugi. Alcuni autori come Emery (1994) mette in guardia dall’includere in questa situazione casi in cui viene effettuata una denuncia di abuso su minori; ben diversa è la situazione nel momento in cui minacce o violenze dovessero palesarsi durante lo svolgimento dell’incontro. In tali circostanze la strategia è quella di attendere la definizione da parte dell’autorità giudiziaria. Altri autori segnalano anche l’impossibilità dove c’è un’alta conflittualità della coppia, o il grado di ingerenza delle famiglie di origine, il disequilibrio nella decisione di separarsi, che possono rendere il percorso di mediazione familiare inattuabile.

Il parametro maggiore significativo è costituito dal mediatore stesso e dai suoi modelli di relazione interiorizzati. In base alle esperienze che ciascuno di noi ha vissuto nel corso della propria vita, alcune modalità di conflitto che le coppie di volta in volta propongono possono costituire un elemento di rilevante difficoltà, indipendentemente dal grado di conflittualità, quindi in base a risonanze emotive con le esperienze del mediatore.

“Non ci sono coppie non mediabili ci sono mediatori non medianti”.

JP

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