In questi giorni, camminando per la città, mi sono soffermata in più di un’occasione a notare l’elevata concentrazione di centri estetici, parrucchieri, palestre, tatuatori che esistono a Livorno… E tutti (o quasi) lavorano… Anzi, continuano ad aprire nuove attività!
L’osservazione non sarà certamente originale ma la domanda che mi è sorta è stata: perché? Beh, perché Livorno è la città dell’ “apparenza”, dell’estetica, dell’importanza dell’apparire e mostrare (non dimentichiamoci che l’anno scorso era al terzo posto d’Italia nella classifica del Sole 24 Ore per indice di sportività e addirittura al primo posto per le attività indoor). Quindi un riflesso della nostra cultura… Dei tempi che sono… Le mie parole non vogliono essere provocatorie o sminuire chi frequenta questi luoghi, bensì fornire uno spunto di riflessione e, perché no, di confronto sul valore e sul significato dell’apparire nella nostra società (e più nello specifico nella nostra città, particolarmente cara al “culto della bellezza”, in tutte le sue forme), dunque sul perché e come.
Apparire di per se’ non è una parola che ha una connotazione negativa a parer mio, ognuno di noi sta nel mondo mostrandosi con un’immagine esteriore, quella interiore la concediamo a solo pochi selezionati (per fortuna).
Diversi studi hanno messo in evidenza come la bellezza esteriore influisca nei rapporti quotidiani grazie al fatto che ad essa spesso vengono associate una serie di caratteristiche positive, che nella realtà sono invece indipendenti.
Questo fenomeno viene chiamato “effetto alone” e consiste nel fatto che una singola caratteristica, in questo caso la bellezza, influenza, come un alone, altre caratteristiche. Chi risulta essere bello secondo certi parametri (proporzione volto, grandezza occhi, capelli, statura …), a prima vista, viene valutato anche come buono, gentile, persuasivo, padrone di sé, socievole, intelligente, competente e persino felice!!
L’effetto alone è ciò che viene comunemente denominato “What is beautiful is good” (ciò che è bello è buono) ed è un processo talmente forte da essere stato replicato in 30 studi diversi sugli stereotipi, come evidenzia uno studioso di nome Feingold (1992).
Tale immagine esteriore è dunque molto potente, pensate a quando conoscete una persona, o anche semplicemente la vedete camminare per strada: in base a come è vestita, alla sua andatura, al taglio di capelli che ha… Vi formate un’idea in testa (“Che donna di classe!”, piuttosto che “Quest’uomo è trascurato”). Ma l’apparenza molto spesso inganna.
La donna di classe, che appare così sicura di se’, magari è una donna fragile con mille pensieri in testa (e che non esce a comprare il pane se non è truccata), e l’uomo trascurato in realtà è un uomo che è appena smontato dal turno di notte, stanco ma che sta andando a casa per farsi una doccia, riposarsi e uscire poi vestito in modo curato.
L’apparenza inganna. O anche no.
Quello che ognuno potrebbe chiedersi è: quanto è importante per me apparire? Appaio per come sono oppure è un bluff l’immagine che rimando all’esterno? Ma soprattutto: il bluff è per gli altri o anche verso me stesso?
E ancora: “Quale mio bisogno psicologico soddisfa?” I bisogni psicologici sono diversi, ad esempio il bisogno di Sicurezza, di Condivisione, di Importanza, di Amore, di essere Compresi, di Libertà, di Approvazione (se la ho, come mi sento?) ed altro ancora.
Nella mia esperienza lo spazio della psicoterapia è uno spazio dove spesso si arriva indossando una maschera, magari senza neanche rendersene conto, e dove si può scoprire (riscoprire) se stessi, da diverse prospettive. E questo, inevitabilmente, ha delle ricadute nella relazione con l’altro. Il tema è quello dell’identità, un “temone” dunque.
Se un giorno qualcuno ci togliesse quella maschera che in parte ci hanno messo e in parte ci siamo fatti mettere, il rischio è che ci resti addosso solo la sensazione di non essere mai stati…
L’apparenza è una cosa seria.
Dott.ssa Moira Picchi