In questi giorno ho avuto il piacere d’intercettare in TV una serie televisiva che mi ha catturato il cuore per due aspetti che avrei piacere di provare a condividere in questo articolo.
La serie è Romanzo Familiare e gli aspetti che mi hanno affascinato sono di stampo psicologico e culturale.
Psicologico
Ho trovato molto bello che una regista come Francesca Archibugi sia stata in grado attraverso una piccola serie televisiva come Romanzo Familiare, di riuscire a condensare così tanti aspetti “sistemici relazionali” così tanto vicini alla mia formazione e professione, tanto da farmi pensare che la registra stessa potesse essere sia una psicoterapeuta sistemico – relazionale.
Cosa sono questi aspetti sistemici – relazionali?
La famiglia è un sistema, composto da persone e quindi relazioni. Il film mostra come un semplice evento, che può attraversare una qualsiasi famiglia, quale a esempio un trasferimento nella città natale, possa dar luogo a un effetto domino su tutto il sistema familiare connesso, non solo della famiglia che ne viene direttamente investito ma anche le famiglie d’appartenenza.
Per dirla in parole povere un sasso gettato in uno stagno dà luogo a delle diffrazioni concentriche che investono anche altri oggetti e si propano nello spazio. Stessa cosa è avvenuta nel film.
Questo succede nelle famiglie…
Ogni giorno siamo investiti da eventi che possono minare la stabilità e la serenità dell’intero sistema familiare, dando origine a nuovi riassestamenti interni e/o esacerbando problemi latenti che si pensavano risolti e affrontati.
Il film mostra come certi aspetti non adeguatamente elaborati (il rapporto padre-figlia), riaffiorino più forti che mai, come per ricordarci che possiamo mettere km di distanza tra noi e i nostri cari ma che sia del tutto inutile perché prima o poi dobbiamo fare i conti con il nostro passato. Oppure come talvolta certe aspetti della nostra vita non adeguatamente affrontati (gravidanze premature) possano riproporsi nelle generazioni successive (sindrome degli antenati), sottolineandoci così quanto sia importante provare ad ascoltarci e a provare ad affrontarci senza scappare da noi stessi e dalle nostre radici, dalle nostre famiglie.
Culturale
L’altro grande aspetto di matrice culturale che vorrei provare ad affrontare riguarda la mia città: Livorno.
Vedendo il film ho pensato e forse capito che Livorno è per me come una famiglia…
Mi spiego meglio.
Molti registi hanno cercato di cogliere con i loro lavori questo aspetto peculiare di Livorno, una città in cui chi ci nasce e vive, vorrebbe andare e chi ci nasce e va via ne soffre la mancanza… Come in famiglia…
In famiglia talvolta si vivono dei momenti, come per esempio durante l’adolescenza, in cui si vorrebbe andare via perché la famiglia ci risulta “troppo stretta” e/o non corrispondente ai nostri bisogni. Ma non avendo soldi e strumenti ancora del tutto adeguati per andare via, si inizia una sorta di “tira e molla”, entrando e uscendo da casa. Un po’ come nel mito dei ricci di Schopenhauer, in cui se si sta troppo vicini ci si “punge” se si sta troppo lontani si muore di freddo.
Quando però una persona lascia la propria famiglia talvolta il modo in cui la lascia può determinare una profonda mancanza e solitudine.
La grande differenza pertanto sta nel come si lascia la propria famiglia: “sbattendo la porta” e quindi provocando un “taglio emotivo”, vedi “Romanzo Famigliare”, vedi “La prima cosa bella” o la “porta non viene aperta”?
In entrambi i casi l’”uggia”, l’”Ovosodo”, l’ansia ci assale e ci fa stare male senza talvolta farci comprendere cosa sia la cosa più giusta da fare.
Credo che l’essenza di Livorno sia questa, una grande famiglia con cui alla fine si debba fare i conti se si vuole vivere quanto più sereni possibili la propria esistenza.