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Quando la famiglia incontra il lutto
pioggia arcob

Il termine “morte” è di uso comune e si cresce con l’idea che è un qualcosa che fa parte della vita, tant’è che intorno ad essa sono nati modi di dire anche ironici (basti pensare a “Nella vita non c’è niente di certo, se non la morte!” ), quasi come a esorcizzare il fenomeno.

Nonostante questa “abitudine” a sentir parlare di morte, quando avviene un lutto le reazioni emotive di ognuno di noi possono essere svariate e non sempre è semplice affrontarlo, soprattutto se il lutto coinvolge una persona particolarmente significativa per noi.

 

La famiglia, dopo la morte di una persona cara, deve far fronte non solo alla perdita stessa, ma anche ai cambiamenti individuali generati nei singoli membri (non si è più madri/padri di…, ma si diventa l’essere stata madre/padre di…, oppure l’essere stata figlia/o o moglie/marito di…).

Ciascuno nella sua reazione all’evento luttuoso si ri-organizza sia in funzione delle risorse del gruppo familiare, sia in base alle risorse e alle necessità individuali.

Gli effetti trasformativi di questo nuovo assetto non sono immediatamente chiari al resto della famiglia, che a livello gruppale ha perso il proprio equilibrio.

 

Il lutto, quando viene elaborato, innesca un processo di differenziazione, ovvero la capacità di andare avanti nel proprio percorso di vita, mantenendo il ricordo della persona scomparsa.

Diversamente, la perdita non vissuta emotivamente, quindi non elaborata, può condurre a un arresto nell’evoluzione del ciclo vitale.

Nel tentativo di controllare e negare l’angoscia della morte, il sistema familiare mette in atto una dinamica all’interno della quale il cambiamento, la crescita e quindi la trasformazione vengono negati e ostacolati nell’illusione di fermare il tempo.

L’evento luttuoso vissuto e affrontato, nella sua dimensione della rabbia prima, del dolore poi e della graduale differenziazione, consente il riattivarsi delle risorse della famiglia.

Se il lutto di una persona cara viene elaborato, consente, a un certo punto della vita dei sopravvissuti, di riprendere la propria dimensione evolutiva, evitando il blocco del tempo alla fase precedente alla scomparsa del congiunto.

Il terapeuta quindi deve supportare e sostenere la famiglia nelle sue fasi del lutto che «vanno rispettate senza correre», come sostiene Maurizio Andolfi (psicoterapeuta familiare).

 

Riporto una frase significativa di Maria Luisa Campobasso (psicoterapeuta familiare), la quale afferma: «In ogni separazione si concretizza una morte. Separarsi da una persona o da una situazione comporta comunque una ridefinizione della propria esistenza e del proprio modo di continuare ad essere».

 

La fine di una relazione influenza la crescita successiva, sia dell’individuo che del sistema relazionale coinvolto.

Quello che viene richiesto è gestire la propria esistenza affrontando il dolore della separazione, evitando il blocco a una determinata fase evolutiva, quella in cui si è verificata la perdita stessa.

 

Bibliografia:

 

◦ Bowen M., “Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare”, Astrolabio, Roma, 1980

◦ Scabini E., “L’organizzazione famiglia tra crisi e sviluppo”, Franco Angeli, Milano, 1998

◦ Andolfi M., La famiglia di fronte alla morte traumatica di un figlio adolescente: cosa fare in terapia familiare?, “Le perdite e le risorse della famiglia”, Convegno di studio del 3/4 maggio 2002, organizzato dall’Accademia di Psicoterapia della Famiglia

◦ Cardinali F., Il vivere e il morire. Incontri e domande nell’esperienza di uno psicoterapeuta, in “Rivista Terapia Familiare”, nº53, marzo 1007, APF, pagg. 37/43

 

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