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Chi cura chi?
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Si sente talvolta parlare di caregiving. Parola che deriva dal verbo inglese to care e che può essere tradotta con “prendersi cura di qualcuno”, termine in cui c’è una connotazione di accudimento, ma anche di protezione ed affetto. Il verbo indica quindi una componente affettiva di impegno per il benessere della persona.

Quante persone sono quotidianamente impegnate nell’assistenza, nel prendersi cura di un parente, un congiunto, un individuo in stato di necessità o affetto da una malattia invalidante (si pensi ad esempio alla demenza di Alzheimer, ad una invalidità fisica ecc)? Le patologie croniche implicano una forte dipendenza del soggetto in stato di necessità da coloro che se ne occupano.

Il caregiver (colui che presta la cura) è spesso definito come la seconda vittima della malattia. Tale affermazione ben evidenzia il grado di stress a cui può esser sottoposta tale figura. La presenza, nella famiglia, di un paziente affetto da grave malattia cronica, causa spesso importanti cambiamenti nelle relazioni e nelle dinamiche familiari. Come ricordano Moderato e Rovetto (2006), alcune possono essere: modificazioni della routine familiare, modificazione della qualità delle relazioni familiari, modificazione delle relazioni sociali, riduzione del tempo libero e dei tempi di riposo, difficoltà lavorative e finanziarie, conflitti intrafamiliari.

Non di minore importanza possono essere le reazioni  più prettamente emotive da parte del caregiver. Frequenti sono i vissuti di depressione e angoscia, lo sperimentare un senso di impotenza e inadeguatezza, il senso di colpa, la rabbia, la solitudine, la stanchezza fisica e psichica.

Considerato che è bene operare in senso preventivo, alcune buone pratiche che possono essere consigliate alle persone che si trovano a svolgere il ruolo di caregiver, possono essere le seguenti: essere bene e continuamente informati da parte dei medici sulla patologia che l’assistito ha, saper chiedere aiuto (alla famiglia, agli amici, ai servizi, ad un professionista psicologo ), pensare anche a sé stessi (ricavando degli spazi liberi in cui ricaricarsi e ritrovare benessere), accettare il ritmo dei cambiamenti, evitare l’isolamento.

Perché se talvolta curare diventa un “dovere”, curarsi e salvaguardare la propria salute è un diritto!

Bibliografia:

Rovetto, F., Moderato, P. (a cura di) (2006). Progetti di intervento psicologico. Ed. McGraw Hill

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